Il castello in località Castel Rivera nel comune di Trofarello è di destinazione d’uso agricola ed è attualmente proprietà privata.
La prima menzione del «castrum seu domum Riperiae» risale al 1352 (Sommario, 1795). Tuttavia, è stato convincentemente dimostrato come, con ogni probabilità, nell’attuale complesso di Castel Rivera sia da vedersi il castello di Celle (PIOLATTO, 1996-97), non già quello citato sin dal 1159 tra le proprietà del vescovo di Torino (SETTIA, L’incastellamento, 1976), ma quello che nel 1228 i signori di Revigliasco, all’atto della dedizione a Chieri, si riservavano di «castellare, si eis placuerit» (LUSSO, 2000).
La tesi si basa su elementi circostanziati, in larga misura dedotti dalla documentazione prodotta nel 1447 in occasione della divisione del contado di Celle tra i signori di Trofarello e Revigliasco (Sommario nella causa delegata, 1795). In particolare, un documento del 1221 descrive i confini di Celle estesi sino al Po Morto e alla riana Ronchi, cioè, in base a una celebre carta del territorio chierese del 1451, ben oltre Castel Rivera (LUSSO, 2006). Nel 1287 poi, nel corso di una prima definizione dei confini del contado, uno dei termini veniva collocato «<in costa Riperiae», nuovamente, cioè, a sud del castello.
In realtà, già Settia (1975) notava l’esistenza di due toponimi Celle pressoché contermini, uno immediatamente a meridione di Revigliasco e l’altro nella pianura a sud di Trofarello, ma riteneva discutibile proporne l’unificazione in un unico territorio. Decisiva appare dunque l’affermazione di Giovanni Vagnone dei signori di Trofarello, il quale nel 1482 affermava «quod dictum castrum Riperiae fuit et erat castrum Cellarum»> (PIOLATTO, 1996-97). Probabilmente, il progressivo abbandono dell’abitato di Celle – definito già nel 1252 come «quedam vileta sive forcia inter Montem Callerium et Carium» (COGNASSO, 1914) – a favore degli abitati nuovi di Moncalieri e Pecetto in seguito allo smembramento del suo territorio (SETTIA, 1975) indusse la sostituzione della denominazione originaria del nuovo castello duecentesco con quella della zona presso cui era sorto.
Conferme alla tesi giungono anche dall’analisi delle vicende costruttive dell’edificio. Nel 1228 i signori di Revigliasco si vedevano costretti a cedere a Chieri la loro parte del «castrum de Cellis et receptum». Nell’occasione ottenevano però in cambio l’impegno da parte del comune a contribuire alla metà delle spese «<pro turri castri de Cellis levanda et in alia forcia ibi facienda> e veniva stabilito il termine del marzo 1230 per «dictum castrum castellare et turrim et forciam incipere» (LUSSO, 2000). A quanto pare, si decise effettivamente di edificare la torre- che corrisponde al tozzo torrione cilindrico, mozzato e poi rialzato, collocato a metà del fronte orientale e le altre strutture difensive, determinando però di realizzarle in un altro luogo rispetto a quello dove sorgeva il precedente castrum, forse irrimediabilmente compromesso. La vicenda, dunque, oltre a offrire un saldo riferimento cronologico per il nucleo più antico di Castel Rivera, rappresenta anche un importante tassello per lo studio della diffusione delle torri a pianta circolare e dei modelli compositivi che vi facevano coerente ricorso; diffusione che, ritenuta significativa in area subalpina a partire dal tardo Duecento (Tosco, 2001), trova nel nostro caso un precoce e raro esempio, paragonabile solo a quelli di Castiglione Falletto (LONGHI, Le architetture, 2003) e Cortemilia.
Scomparsa ogni traccia materiale del castello originano menzionato nel XII secolo – ignoriamo, per esempio, gli esiti dell’ impegno assunto dai Romagnano di Revigliasco, che avevano acquisito diritti sul luogo sin dal 1120 (B AUDI DI VESME, 1900), di “reedificare […] tantum quantum intra ultimum fossatum castri continebitur” (GABOTTO, 1913) – due paiono essere le macrofasi costruttive dell’ edificio odierno, un complesso compatto sviluppato attorno a una corte quadrilatera, sorto ex novo e in alto lungo grazie all’iniziativa congiunta dei signori di Revigliasco e del comune di Chieri. La prima corrisponde alla costruzione della torre, da inquadrare in un progetto più ampio promosso verso il 1230 e concluso con la realizzazione delle quattro cortine esterne (solidali, nel tratto orientale, alla muratura della torre principale) e delle altrettante torri cilindriche angolari con funzione di rinforzo. Si trattava dunque di una fabbrica eccezionalmente moderna, che già registrava la traslazione sulla cortina della torre “maestra”, e piuttosto impegnativa sia dal punto di vista costruttivo sia da quello economico, in considerazione della qualità dei materiali utilizzati e della cura nella posa in opera. Si veda, per esempio, la porta di accesso, a lato della torre cilindrica principale, la quale ripropone, con la sua ghiera archiacuta, I mattoni sagomati e la sottile fascia decorativa a rombi laterizi non ancora realizzati serialmente, modelli di alta qualità formale e compositiva diffusi nel corso del primo Duecento.
La seconda fase costruttiva è con ogni evidenza da collocare in anni prossimi al 1352, data che segna si la comparsa della nuova denominazione, ma anche la prima di una lunga serie di frazionamenti della struttura tra i familiari del consortile chierese dei Simeone dei Balbo che, riducendo in maniera significativa l’area della corte interna, diede il via alla costruzione di tre maniche residenziali addossate alle cortine perimetrali sud, ovest e nord. L’assetto raggiunto nell’ occasione, oltre che deducibile dall’articolazione odierna dell’edificio-fatte salve alcune, evidenti mutilazioni, e la sopraelevazione di un piano di parte degli edifici -, è descritto da un documento di divisione del 1448: un complesso che destinava due maniche (settentrionale e meridionale), composte da edificia, alla residenza, mentre la terza (occidentale) era occupata da cantina e locali di servizio. Completavano l’insieme un fossato con “controscarpa” – nel 1448 sono citati “muri tenentes ripas fossatorum»- esteso a tutto il perimetro dell’edificio e, adiacente a esso un receptun murato, anch’esso dotato di fossato e difeso da una batajleria (Sommario nella causa delegata, 1795).
E’ anche questa, con ogni probabilità, un’area aggiunta in occasione degli interventi di metà Trecento il cui scopo era, forse, quello di recuperare gli spazi liberi che, entro il castello, erano stati obliterati dalla costruzione delle ali residenziali, accrescere la capacità produttiva dell’azienda e, non da ultimo, predisporre un’area sicura in cui, al crescere del numero dei familiari aventi diritto sull’edificio, fosse possibile costruire nuove abitazioni. Abitazioni che, in effetti, sono già menzionate nel 1448.