La tradizione artigiana della tessitura, che tanto lustro e tanta fortuna aveva dato alla Chieri medioevale, pur condizionando lo sviluppo industriale della città, costituisce la cifra imprescindibile e caratteristica dell’imprenditoria chierese. Un precoce esperimento di produzione su larga scala, la tessitura impiantata nel 1809 da David Levi nell’ex monastero di Santa Chiara (oggi malconcia ma significativa sede del Museo del Tessile), si chiude nel 1843, a causa delle limitazioni ai diritti civili degli ebrei, ma certamente anche in seguito ad opposizioni locali. I primi stabilimenti industriali nascono negli anni ’80, dopo le realizzazioni della ferrovia Chieri-Trofarello (1874), del nuovo cimitero (1878) e dei piani di ampliamento urbano con ubicazione delle strutture produttive in zone periferiche, modernizzazioni iniziate dal sindaco Lorenzo Radino con l’architetto civico Alberto Burzio, cui seguiranno il nuovo macello (1896), il tiro a segno nazionale (1904) e l’introduzione dell’energia elettrica (1909). La mancanza di adeguate portate d’acqua non permette l’immediata introduzione dei telai meccanici, l’industria chierese si evolve così in

modo progressivo e senza troppi traumi dalla tradizione artigiana, partendo da piccole imprese familiari, con largo uso di terzisti e di telai manuali. Le piccole manifatture si spostano dal centro alla periferia, ma i nuovi stabilimenti sono costruiti per successivi ampliamenti, spesso iniziando da una casa-opificio, che è residenza familiare, immagine dell’azienda, sede degli uffici e della produzione. Poco rimane, oggi, degli edifici realizzati entro la prima guerra mondiale, pesa in particolare la scomparsa delle tessiture Gallina Giuseppe (1893) e Fasano, Ferrero & C. (1908), della quale rimane però ancora la bella palazzina padronale (via Roma n. 16), strategicamente posizionate presso la stazione ferroviaria. Proprio la «fabbrica della stazione» di Giuseppe Gallina era un esempio paradigmatico: l’originale blocco abitativo a tre piani, affiancato da due ali a due piani per le lavorazioni, è ampliato nel 1904, su disegni dell’ing. Ernesto Fantini, nel 1909, con l’introduzione dei telai meccanici, e ancora nel 1919, divenendo alla fine un vasto e articolato complesso. Le architetture industriali chieresi sono in genere piuttosto sobrie e ben curate, appena ingentilite da delicate fasce in cotto, lo stesso Gallina annoterà, infatti, nel suo diario, a proposito della celebre esposizione d’arte decorativa del 1902: «Apoteosi dello Stile Moderno detto Liberty, che momentaneamente piace, ma che pare debba durar poco, perché tale è l’opinione generale»; non mancano, in ogni caso, esempi più pretenziosi e qualche episodio autenticamente Art Noveau.
Ditta Fratelli Lazzero fu Felice (1888, 1910, 1928)
via Vittorio Emanuele II n. 2, viale Fasano nn. 1-7
Tra il 1883 e il 1888 i fratelli Francesco, Carmelo e Romeo Lazzero trasferiscono la loro tessitura a porta Torino, costruendo una nuova casa d’abitazione con terrazzi e laboratori, una manica a due piani per i telai e un basso fabbricato per magazzini e uffici; intorno al 1910 realizzano la manica a due piani più alta, trasversale alla prima, verosimilmente per i telai meccanici; l’ultimo ampliamento su viale Fasano, come ditta Lazzero, Levis, Masera, è del 1928. Sui progettisti vi è solo notizia di un disegno per recinzioni dell’ing. Giulio Gramegna (1916). Nel 1933 il complesso passa ai Fratelli Chiara, e dal 1970 è utilizzato a fini residenziali, commerciali e artigianali. La palazzina padronale, in origine più spartana, è abbellita con decorazioni classiche e nuove cancellate nel 1910, forse per emulare l’attigua ditta Fasano, il Municipio «approva con plauso il progetto all’uopo esibito». La stretta manica per i telai a mano, primo fabbricato industriale chierese, è in muratura intonacata e decorata con semplici lesene bugnate; anche la manica trasversale più alta, collegata alla ciminiera, presentava il medesimo aspetto, mentre il basso fabbricato offre più fini fasce bugnate orizzontali, seccamente tagliate dalle aperture semicircolari, e graziose greche in legno sotto le gronde; le consuete fasce in laterizio inquadrano i grandi campi intonacati dell’ultimo edificio, ma una pensilina in muratura a sbalzo sembra denunciarne la struttura in cemento armato.
Filippo Morgantini