La toponomastica di quando io ero bambino era molto diversa dal nostro attuale modo di individuare una qualsivoglia via, strada, piazza o comunque un luogo oggi ben de finito tanto dalle cartine della città o, meglio ancora, dalle varie app sullo smartphone.
Chieri era tutto un su, giù, dré, dnans a qualche cosa di indiscutibilmente riconosciuto e riconoscibile da tutti i chieresi. Non sto qui a ricordare come erano conosciuti luoghi di quella Chieri che, se non scompare certo in presenza, tende a essere dimenticata nel normale linguaggio quotidiano quando si deve collocare sul territorio una via o una strada.
Non faceva certo eccezione strada Vecchia di Riva (ora via Anselmo Montù) che, oltre a essere al Giaun (quartiere del Gialdo) era quella strada «tacà a la gesia d’San Pè».
Ed è proprio di questa piccola chiesetta, che ancor oggi fa bella mostra di sé all’inizio della via, che vi voglio parlare.
Intitolata ai Santi Pietro e Paolo, ma da noi borghigiani conosciuta con il solo nome di San Pietro, era per noi la vera Porta Gialdo! Oltre la chiesetta cominciava veramente Chieri, con l’inizio di via Vittorio ovvero giù d’cuntrà. Era il luogo dove c’era il capolinea del filobus per Torino e dove noi bambini aspettavamo il manovratore che spostava le aste sui fili di alta tensione per invertire il senso di marcia facendo ogni volta uno spettacolo di scintille che ci ammaliava. C’era il convento delle Benedettine allora molto popolato, con quella sua aura di mistero in quanto vi abitavano le suore che mai nessuno aveva visto. Chi millantava di averle viste era da noi ragazzi considerato il peggior bugiardo.
Dove oggi sorge piazza Europa (allora non ancora realizzata) c’erano tutti terreni senza abitazioni o comunque, vicino ad ogni casa, erano presenti gli orti. Prova ne è che di fronte al portone dell’Istituto Salesiano S. Luigi c’è ancor oggi via degli Ortolani, proprio a voler testimoniare quanto da sempre la zona di Porta Gialdo era vocata a questa attività. E la sua chiesetta ne era, e speriamo torni ad esserlo, segno tangibile di quel legame profondo che lega da sempre le attività dell’uomo sul territorio con la religiosità popolare.
Le sere del venerdì e del sabato più prossime alla data della festa religiosa si iniziava con il rosario serale e la domenica mattina alle dieci si celebrava la messa officiata normalmente dai salesiani del S. Luigi. Le strade del borgo si animavano e la campanella invitava tutti all’inizio delle funzioni. La chiesa era splendidamente illuminata all’esterno con tutte luci che ne contornavano il profilo e le poche auto rallentavano tanto per il rispetto dovuto quanto per lo splendore che ne scaturiva.
Infine, alla domenica sera la Banda Comunale intratteneva i convenuti con un concerto che si svolgeva all’interno del cortile del allora Mulino Berruto. Concerto a cui presenziava la rappresentanza dell’autorità comunale e dove non mancava mai il motocarro di Vigot con i suoi gelati, liquirizie e dolciumi vari.
Quale ringraziamento per l’anno precedente e augurio e supplica per l’estate appena incominciata, affinché fosse prospera dei frutti dell’orto, i massari della festa portavano in chiesa un cesto di verdura fresca raccolta negli orti del borgo. E dentro al cesto due magnifici meloni che inondavano la chiesa con il loro profumo. E ognuno degli abitanti del borgo al termine di ogni celebrazione inchinandosi all’altare passava davanti al vessillo degli ortolani e al cesto inebriandosi di quel dolce profumo commentando ogni volta che l’anno in corso era quello dei meloni più profumati!
Per noi bambini e ragazzi del rione oltre alla fine della scuola, quel profumo dei meloni d’ San Pè era il vero segno che l’estate era cominciata. L’estate allegra e spensierata di quegli anni su e giù con le biciclette per la via facendo sì attenzione a quelle rare auto di passaggio, ma molto di più alle mucche di Casinet che immancabilmente ogni giorno invadevano la strada rientrando dal pascolo. E non andando mai oltre la chiesetta dei meloni! Quello era il nostro limite invalicabile. Oltre c’era la Chieri con tutto quanto noi immaginavamo di bello ma anche di sconosciuto. Ma soprattutto oltre… non si sentiva più il profumo dei meloni.
Per Carreum Potentia, Vanni Cavaglià