Il generale e immotivato ostracismo, che troppo spesso colpisce i monumenti pubblici delle città italiane, non ha risparmiato il sindaco Rossi il cui bronzo, tolto da Porta Torino circa vent’anni fa – ora, al suo posto, dei sedili in pietra e una fontanella– è tuttora segregato nei magazzini comunali.
L’idea di onorarlo, dapprima con Luigi Giordano – altro deputato morto nel 1925 – «con un ricordo marmoreo al Municipio di Chieri dove i due illustri parlamentari esplicarono lodevolissima opera di amministratori» (L’Alfiere, 30.1.1926), nasce all’interno della Colonia Chierese a Torino, un’associazione di cittadini chieresi residenti a Torino, di cui gli stessi fratelli Rossi facevano parte. Un anno dopo il Comitato esecutivo, costituito in seno alla Colonia, pensa a un busto in bronzo da collocare «in una delle aiuole del giardino del Municipio, essendo probabile che in un’altra di dette aiuole venga collocato il busto dell’altro illustre concittadino senatore Angelo Mosso» (L’Alfiere, 9.4.1927); per le aumentate sottoscrizioni si passa infine a un monumento vero e proprio, di cui nel 1929 viene presentato «il bozzetto rassomigliantissimo preparato nello studio di S. E. l’Accademico Pietro Canonica dallo scultore Carlo Fait» (L’Alfiere, 30.11.1929); l’opera finita viene scoperta il 2 settembre 1930, nel tricentenario della Beata Vergine delle Grazie, con grande risonanza e partecipazione delle massime autorità, tra cui il Principe di Piemonte.
Il monumento, collocato «nello spiazzo di Porta Torino all’inizio del Viale Fiume di fronte alla casa del Cav. Ostino» (Fig.1), consisteva in una statua in bronzo alta circa 2 metri, posta su un basamento in «marmo rosso di Verona» di 2 metri e 40, entrambi «ideati da S. E. l’Accademico d’Italia Pietro Canonica e preparati dal suo degno allievo prof. Cav. Carlo Fait» (L’Alfiere, 26.7.1930). Altre volte la statua è definita «matura opera dello studio di S. E. l’accademico Pietro Canonica» (L’Arco, 28.6.1930), ringraziato perché «con intelletto d’amore» ne aveva diretto l’esecuzione, mentre l’allievo l’aveva modellata ed eseguita (L’Alfiere, 10.1.1931). Pietro Canonica (Moncalieri, 1869 – Roma, 1959) era scultore di fama internazionale e di enorme successo, il lavoro sarà senz’altro stato richiesto a lui, che però deve averlo ceduto al principale collaboratore del suo atelier torinese: il bronzo è firmato da Carlo Fait (Rovereto, 1877 – Torino, 1968), che per l’opera finita viene pagato 95.000 lire «come da contratto» (ASCC, 3.6.18); l’insistenza su Canonica, gelosissimo delle sue invenzioni anche verso allievi e collaboratori, è legata al prestigio che un grande nome poteva conferire alle celebrazioni.
All’epoca del monumento, Fait era collaboratore di Canonica da quasi trent’anni; era giunto a Torino all’inizio del secolo, chiamato dal maestro stesso quando, abilissimo nella lavorazione del marmo, non aveva compiuto che poche, frammentarie esperienze artistiche tra Rovereto e Milano. Nonostante gli affezionati nipoti Carlo Belli e Fausto Melotti, due autentiche colonne dell’avanguardia artistica, e l’architetto razionalista Gino Pollini, marito di un’altra nipote, senza contare la presenza di Fortunato Depero a Rovereto, Fait rimarrà sempre fedele all’impostazione del maestro, portando ben oltre il secondo dopoguerra una cultura spesso definita – ancora oggi – un po’ sbrigativamente e con intenti vagamente derisori “passatista”. Canonica era stato allievo di Odoardo Tabacchi all’Albertina di Torino, ma si era sempre rifiutato di superare la formazione tardo verista attraverso le suggestioni Art Noveau o le linee dell’avanguardia, il suo sguardo era rivolto al passato, alla ricerca della monumentalità e della bellezza dell’arte classica, e si accostava piuttosto al Rinascimento italiano; è un percorso anomalo nell’arte del Novecento, molto apprezzato dai potenti di tutto il mondo, anche grazie alle capacità manageriali e promozionali del protagonista. Nella sterminata produzione di Canonica lo scultore roveretano pare avere un ruolo creativo non indifferente: nel 1927, in una lettera dalla Turchia, il maestro fa dire al suo collaboratore «che lavori e che cominci anche un po’ più in piccolo del vero, ma non troppo il busto della mamma di Gualino, di cui ho portato la fotografia a casa» (Canonica, 1985, p. 270); e il sociologo Franco Ferrarotti, che lo conosce nel 1943, sfollato a Trino Vercellese, ricorda come gli confidasse «che, senza il suo contributo, il grande scultore erede della perfezione neo-classica di Canova, non avrebbe goduto né in Italia né all’estero, della fama, se non della gloria, che gli era toccata» (Ferrarotti, 2023, p. 178). Non sentendosi valorizzato lo scultore lascia lo studio del maestro intorno al 1935, ma l’arte di Canonica, fuori dalle sue inarrivabili committenze, non era facilmente esportabile, e col tempo risultava sempre più inattuale, già nel 1944 lo scultore «si sentiva abbandonato dal grande maestro Canonica, dopo che per anni da lui era stato sfruttato» (Ferrarotti, 2023, p. 176), e complice il defilarsi del committente del suo capolavoro, il grande marmo La Preda oggi al Mart di Rovereto, si ridurrà in povertà.
Nelle vicende di questo singolare outsider il monumento a Rossi costituisce un’eccezione in qualche modo felice, dove lo scultore può esprimersi liberamente, pur nei limiti del soggetto, ed essere riconosciuto e apprezzato. Fait coglie Cesare Rossi «nella posa di oratore» (L’Alfiere, 26.7.1930), cosa ovvia per un politico che, sedicenne, alla Gara d’onore di lingua italiana tra i migliori liceali della Nazione, nella prova orale giungeva secondo al solo fratello Teofilo, l’unico a ottenere il massimo dei voti, ad onta degli strali lanciati sulla decadenza della lingua da Giosué Carducci, relatore della giunta giudicatrice. La statua risponde ancora ai modi del verismo ottocentesco, dalla minuta descrizione degli abiti contemporanei all’abilità ritrattistica – uno dei punti di forza di Carlo Fait – per quanto dobbiamo pensare sia stato realizzato attraverso fotografie e testimonianze personali (Figg. 2-3). Due belle immagini fotografiche del gesso preparatorio (ASCC, 3.6.18), oggi perduto a quanto si sa, mostrano bene la finezza del modellato e l’abilità tecnica dello scultore di Rovereto, l’atteggiamento oratorio, magari suggerito in prima battuta da qualche immagine reale, è invece sviluppato attraverso un procedimento più raffinato. A destare il maggiore interesse non è tanto la postura chiasmica – la figura appoggiata sulla gamba destra che mantiene leggermente flessa l’altra –, in fondo quasi automatica per chi aveva qualche confidenza con l’arte accademica, quanto piuttosto lo studio del particolare momento di attesa, una breve pausa durante un discorso, che si direbbe estemporaneo visto l’espediente dei guanti tenuti nella mano destra, col braccio sinistro in attesa di accompagnare la parola. Si tratta di una meditazione sul David di Michelangelo, riconoscibile proprio nella piegatura del braccio sinistro, e ancor più nella posa delle dita di quella mano, e nei guanti in sostituzione della pietra nella mano destra. Fait riprende l’arte rinascimentale – con Canonica già aveva realizzato opere ispirate a Donatello – ma soprattutto utilizza i procedimenti degli artisti rinascimentali, che studiavano gli antichi, cioè chi si era indubbiamente dimostrato più bravo e aveva raggiunto la perfezione, per creare immagini rispondenti alle esigenze moderne.
Il 20 dicembre 1831 viene inaugurato il busto in bronzo del segretario comunale Antonio Pennano (1875-1924), tuttora visibile presso la sala consiliare di Chieri «opera dello scultore cav. Fait, autore del monumento a Cesare Rossi conte di Montelera, e gentile dono della famiglia Pennano» (L’Arco, 19.12.1931). La scultura non esce dall’orbita tardo-verista, ma mostra ancora una volta l’abilità ritrattistica e la finezza tecnica del suo autore, anche grazie alla patina originale perfettamente conservata; a detta dei contemporanei la figura del segretario chierese «balza fuori dal bronzo viva e parlante» (L’Alfiere, 19.12.1931).
Per Carreum Potentia, Filippo Morgantini
Bibliografia:
_ Archivio Storico del Comune di Chieri (ASCC): Inaugurazione monumento a S. E. il conte Cesare Rossi di Montelera (3.6.18); Album fotografico.
_ L’Alfiere e L’Arco, 1926-1931.
_ G. Gallina, Il mio libro, Chieri 1930.
_ AA.VV., Canonica scultore e musicista, Roma 1985.
_ P. Pizzamano, Carlo Fait e la sua donazione al Museo Civico di Rovereto, in Studi trentini di scienze storiche, vol. LXXV-LXXVII (1996-1998), sez. II.
_ P. Pizzamano, Carlo Fait. Il sogno di uno scultore passatista: sale permanenti a Rovereto e sculture a Trino, in Tridinum n. 6 (2013).
_ W. Canavesio, Pietro Canonica scultore senza tempo, in Studi Piemontesi, vol. 48, II, 2019.
_ F. Ferrarotti, Schegge di vita, Roma 2023.