La tessitura; luoghi, persone, curiosità – 5ª parte

La forza lavoro, le prime lotte sindacali

Con decreto napoleonico dell’aprile 1801, il Piemonte era diventato la 27° Divisione Militare dell’Impero, perdendo la possibilità di gestire una politica economica autonoma e limitandosi ad essere fornitore di un solo tipo di seta richiesto dalle manifatture francesi, con conseguente crisi finanziaria, fallimenti di imprese e disoccupazione.

Comunque, fra la Restaurazione e i primi mesi del 1848, le industrie seriche e di cotone erano in pieno ammodernamento, la diffusione di telai meccanici di nuovo tipo fu rapida così come la meccanizzazione nel settore della lana; questa situazione di “modernità” fu però appesantita dal lavoro a domicilio che era ancora predominante. Gli imprenditori intraprendenti aggiravano i vincoli corporativi reintrodotti dalla Restaurazione e impiegavano manodopera dipendente al di fuori del normale rapporto fra padrone, mastro e apprendista.

Immagine di R. Perilongo da Chieri e il tessile, pag. 211.

Questa situazione spinse il ministro dell’Interno a deplorare l’uso invalso di questo sistema, soprattutto a Torino e dintorni egli osservava: «gli operai guadagnano troppo poco e i padroni troppo, al punto che, mentre mantengono gli operai nella miseria, accrescono di tal modo il loro patrimonio e la loro fortuna che mutano affatto il loro stato e la loro condizione, e con questo egregio guadagno vanno a gareggiare nello spendere coi possessori de’ più cospiqui patrimoni e co’ primari impiegati dello Stato».

I telai delle industrie del cotone, della lana e della seta si erano quadruplicati, nel settore cotoniero gli operai addetti erano 26.000, in base a dati che comprendevano anche la Liguria e parte della Savoia; nel comparto laniero gli addetti erano 11.000 in fabbrica, di cui la metà nel biellese e ben 35.000 a domicilio.

Nel settore della canapa c’erano 24.000 addetti, per lo più stagionali, il ramo della seta era in netto recupero e presto sarebbe tornato ad avere il primato della produzione: solo nelle filande la produzione del filato greggio impiegava, con fluttuazioni periodiche, fra 44.000 e le 60.000 persone, oltre 13.000 nella filatura degli organzini e 10.000 nella tessitura vera e propria.

Questo fermento di grande attività stimolò una immigrazione tumultuosa dalle campagne e più di un terzo degli abitanti di Torino erano nati fuori dalla sua provincia.

La condizione operaia era molto dura, un giovane Camillo Benso di Cavour nel 1834 affermava: «gli operai possono vivere solo accontentandosi di un nutrimento scadente e spendendo tutto ciò che è guadagnato, è sufficiente il minimo disordine, malattia o disavventura a ridurre l’operaio e la sua famiglia in miseria e a fargli contrarre debiti, e quanto alla possibilità di risparmiare qualcosa, ciò mi pare assolutamente impossibile» concludeva il conte.

Nello stesso anno di queste osservazioni, ci fu il primo episodio di lotta operaia a Torino: il setaiolo Garneri decise di ridurre le paghe ai suoi 550 operai. La reazione dei tessitori descritta dai verbali di polizia aveva già le caratteristiche di uno sciopero moderno: l’esortazione di cessare il lavoro circolava di bocca in bocca «nella fabbrica era voce comune che qualora non fossero state aumentate le paghe predette, al lunedi successivo tutti avremmo cessato il lavoro».

Le minacce ai crumiri (che sarebbero stati maltrattati, se non battuti), nonché il defilarsi dei capireparto che non volevano compromettersi con il padrone e consigliavano a tutti a farsi i fatti propri, infine la denuncia della polizia e l’arresto dei caporioni. Il ministro dell’Interno, una volta constatato che “l’ammutinamento” non aveva caratteristiche politiche, liberò gli arrestati e la conclusione della vicenda fu che il “Garnè” rinunciò alla decurtazione delle paghe.

Altro episodio analogo avvenne a Biella quando gli operai del lanificio Amosso scioperarono per avere aumenti salariali, il padrone per contrastare la protesta fece arrivare della manodopera dall’estero per sostituirli ma, dopo pochi giorni, i crumiri stessi abbandonarono il lavoro in quanto anche le loro paghe erano state abbassate al livello degli stranieri, a seguito della inaspettata situazione creatasi il signor Amosso concesse il sospirato aumento salariale.

Lo sciopero era un reato punibile dal Codice penale, quindi le agitazioni organizzate sotto il regno di Carlo Alberto furono rare, se ne segnalarono a Torino, Biella, Novara e nel Canavese, per lo più limitate alle singole corporazioni e, dopo la soppressione di queste ultime, gli episodi di vertenze avvenivano nei singoli stabilimenti.

La maggioranza della forza-lavoro impiegata negli stabilimenti tessili era costituita da donne e adolescenti di entrambi i sessi, il motivo era economico perché i salari erano molto inferiori di quelli degli adulti maschi; l’altra ragione di questa predominanza femminile, era dettata dal fatto che molte mansioni prevedevano solo il riannodamento dei fili quando si spezzavano. Lavoro relativamente facile che richiedeva dita agili, sottili e rapide.

Riferirò in futuro le mansioni “specialistiche” dedicate agli uomini e l’elenco delle paghe orarie.

Curiosità

Riporto la testimonianza del futuro imprenditore Gallina:

«[…] non avevo ancora dieci anni che già tessevo trecce nella febbrica di Castelnuono d’Asti, e istruivo i primi rudimenti della tessitura alle contadine dei dintorni… il mio papà utilizzava tutti gli scampoli dell’ordito, con i gomitoli avanzati ne faceva orditini per il mio telaio da istruzione.

Quando non si avevano lavori più urgenti, era inteso che si doveva spolverare ogni cosa, ogni pezza, persino qualsiasi pacco e cambiare frequentemente il posto delle merci: in questo modo v’era sempre da lavorare per tutti… altro che otto ore! In tutte le manifatture si lavorava per dieci ore nei sei giorni, poi tutta la domenica mattina.

Nell’estate, le dieci ore potevano salire a undici o anche dodici… il riposo domenicale era osservato da pochi padroni, scrupolosi della legge morale».

[continua]

Per Carreum Potentia, Franco Mazzone

Bibliografia:
A. Barbero,
Storia del Piemonte, Einaudi editore s.p.a. 2008.

R. Perilongo, La storia del tessile chierese nel XIX secolo, Edizioni Corriere 2007.

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