La tessitura: luoghi, persone e curiosità – 4ª parte

La situazione nella Penisola Italiana

Stabilimento LaneRossi – Schio (Vi).

L’industria tessile italiana tra la metà del 1600 e il 1850 fu caratterizzata da una serie di fattori tecnologici e socioeconomici: la produzione era situata, in genere, nelle piccole città e nelle campagne e riguardava prevalentemente la lavorazione di tessuti di qualità medio bassa, tranne la seta, che per sua natura esprimeva un livello qualitativo superiore.

Questo settore manifatturiero si basava in modo preminente sull’impiego di manodopera femminile e minorile a basso costo, ragion per cui la meccanizzazione delle fasi di lavorazione era molto ridotta, nei rari casi di industrializzazione primitiva. Per poter disporre di energia idraulica questi opifici, comprese le tintorie, sorgevano in prossimità dei corsi d’acqua.

Nella penisola, prima dell’unificazione, l’industria tessile era sviluppata soprattutto al Nord: in Piemonte con insediamenti produttivi a Chieri, nel Pinerolese, a Racconigi, nel Canavese, a Biella e dintorni; nell’alto milanese come a Busto Arsizio, nella provincia di Como, dove l’industria era specializzata nella produzione e lavorazione della seta, e nel bergamasco oltre che a Bologna, nell’alto vicentino e a Venezia.

Nel centro Italia si era sviluppato il distretto industriale pratese che diventerà fra i più importanti della penisola la cui produzione consisteva in tessuti misto lino e di pura lana, ma di bassa qualità e quindi ricercati per la loro economicità; dopo il 1850, Prato iniziò a produrre panni di lana di recupero dagli stracci usati. Altri centri tessili, soprattutto lanieri, sorsero in Umbria e più precisamente nelle città di Perugia, Foligno, Gubbio, Todi e Città di Castello.

Al sud spiccano fino al 1650 le manifatture di seta nel palermitano e, grazie alla lungimiranza dell’amministrazione borbonica, le seterie di San Leucio in provincia di Caserta (dal 1778 all’inizio dal 1900).

Al giorno d’oggi restano a testimonianza dell’operosità di fiorenti imprese tessili alcuni edifici e strutture ad esempio: il villaggio operaio di Crespi d’Adda (frazione di Capriate San Gervasio, BG), la cittadella della Nuova Schio la cui prima unità abitativa fu detta il palazzon, stessa cosa per la Valdagno dei Marzotto. Degne di nota le “Industrie Rossi” (fig.1) meglio conosciute con il marchio commerciale “LaneRossi”, nate nel 1817 e situate nel Vicentino: i primi insediamenti produttivi furono costruiti lungo la Roggia Maestra che è un canale artificiale di epoca medievale che devia le acque del torrente Leogra per poi immettersi nel fiume Timorchio. Nel suo percorso nel territorio di Schio, la Roggia Maestra era utilizzata per ottenere la forza motrice necessaria per le fasi di lavorazione della lana e serviva anche per mulini, concerie ed altre necessità idriche.

Villaggio Leuman, Collegno (TO).

Altri esempi di villaggi operai si trovano a Campione del Garda dell’industriale tessile Olcese, in Piemonte con il villaggio Leumann nella città di Collegno (fig.2) e, infine, al villaggio Zegna a Trivero (Biella) oggi Coldilana; tutti agglomerati urbani nati per la volontà e il mecenatismo di imprenditori lungimiranti.

Queste borgate, con caratteristiche costruttive simili, erano formate da edifici di tipo industriale, magazzini e piazzali per la movimentazione delle merci, nonché affiancate nelle immediate vicinanze da strutture per le maestranze: abitazioni, scuole, chiesa, ufficio postale, infermeria-ambulatorio, biblioteca, cinema o teatro, cucine comuni e forni, negozio cooperativo, sedi di associazioni per le attività del tempo libero, spicca, su tutte queste cittadelle, il complesso Zegna di Trivero-Coldilana (Biella) che aveva nell’infermeria anche un reparto di maternità di cui riferisco una testimonianza diretta: mia moglie, figlia di una tessitrice, è nata lì a metà del secolo scorso.

Questo comportamento “paternalistico” da parte dei datori di lavoro era basato sulla considerazione che il Paese dovesse essere industrializzato anche cercando la massima collaborazione da parte delle maestranze venendo loro incontro da un punto di vista sociale in vari modi.

La tessitura in Piemonte

Il centro di maggiore attività tessile del Piemonte era Chieri, che a metà Cinquecento ebbe una produzione cotoniera paragonabile a quella di grandi città come Milano e Cremona; carovane di muli trasportavano le balle di cotone dai porti di Genova o Marsiglia per essere trasformate in fustagno per essere poi inviato e venduto in Francia, in particolare nelle fiere di Lione.

Questo modello vincente di Chieri dipendeva dal fatto che in una piccola città esistevano ancora forti connotazioni rurali; quindi, era disponibile una numerosa manodopera di operai-contadini che vivevano entro le mura e integravano i salari con la coltivazione di un pezzo di terra. Tale circostanza permetteva ai mercanti, che fornivano il lavoro, di sfruttare con elasticità una forza-lavoro a cottimo e comprimere i salari, in particolare nella fase di crescita demografica tipica del Cinquecento.

Nel secolo successivo le difficoltà legate alla guerra, alla politica e alla crisi demografica posero all’esportazione una battuta d’arresto per alcune tipologie di tessuti ma, nel corso del Seicento, la manifattura della seta in Piemonte diventò l’industria trainante per una scelta economico-politica.

Nella manifattura tessile la seta rappresentava l’80% delle esportazioni del Piemonte, la lavorazione della seta piemontese era superiore alla concorrenza europea, fatto riconosciuto anche dai mercanti inglesi che erano i più esperti del mercato. La qualità elevata dei manufatti era dovuta ai rigorosi controlli imposti dal governo, dal divieto di esportazione di bozzoli e di seta grezza, inoltre era vietata la divulgazione dei perfezionamenti della tecnica di lavorazione, era proibito l’espatrio per legge a tecnici e operaie con esperienza di filanda. Caratteristiche simili presentava l’industria laniera, anche se il prodotto non aveva peso sull’esportazione.

A metà Settecento il marchese d’Ormea, ministro di Carlo Emanuele III, aprì un lanificio nel suo feudo nei pressi del Col di Nava dando lavoro a ben 300 operai. Nei decenni successivi, le industrie laniere si concentrarono nel Biellese e nel Pinerolese e, seppur in una fase di crisi, si contavano in provincia di Biella circa 5000 operai tessili che lavoravano in gran parte a domicilio con uno o due telai ma, da questo momento, ebbe inizio un processo di concentrazione delle maestranze in grandi stabilimenti, come la manifattura Gromo & Canova a Biella con 500 operai, o Buglio a Occhieppo Superiore che dava lavoro a 730 persone.

A Chieri, durante tutto il Settecento, l’industria cotoniera apparve in netta ripresa: dava impiego a 2000 operai, nel 1719, e quasi il doppio nel 1795. Per lo più erano maestranze che lavoravano a domicilio e che risiedevano nelle campagne circostanti. La tela di canapa e il lino, che permetteva ai contadini di integrare il reddito con il lavoro delle mogli al telaio, diede origine alle prime concentrazioni di fabbriche a: Chieri, Riva presso Chieri, Giaveno, Coazze, Pinerolo, Canavese e anche in Val Sesia e sul Lago Maggiore dove si svolgeva, a livello industriale, lo sbiancamento delle tele.

All’inizio dell’Ottocento la città di Chieri fu sotto il dominio dei francesi, che furono i padroni del Piemonte fino al 1814, anno della caduta dell’imperatore. In questi tre lustri, la città venne riorganizzata entrando a far parte del territorio metropolitano francese proprio nel momento in cui l’innovazione tecnologica e l’industrializzazione dei processi produttivi poterono arricchire quella classe medio borghese che aveva avuto via libera dalla Rivoluzione francese.

Fu anche un terremoto per la vita religiosa della città, con la soppressione degli ordini religiosi, i beni furono incamerati dallo Stato, inventariati e messi all’asta sul mercato immobiliare: vennero abbattute alcune chiese, mentre i conventi attigui, che mettevano a disposizione grandi cubature, potevano soddisfare la nuova industria che utilizzava grandi spazi da adibire a stabilimento con poca spesa e minime modifiche, come ad esempio David Levi che acquistò il monastero delle Clarisse per farne un fiorente opificio tessile. (Tratterò in futuro questa circostanza).

Curiosità

La Cittadella di San Leucio, Caserta.

 

Fra il 1735 e il 1860 il Regno di Napoli e Regno di Sicilia, sotto Carlo di Borbone, e successivamente il Regno delle Due Sicilie, sotto Ferdinando di Borbone, raggiunse una cinquantina di primati a livello europeo in vari campi: industria, economia, sanità, cultura, scienze, trasporti ecc. Inerente alla tessitura, nel 1778, Ferdinando IV di Borbone decise di far erigere una cittadella attigua ad uno dei suoi palazzi anticipando l’azione meritoria di alcuni industriali del Nord nel 1800 (già citati). Lo scopo principale era quello di creare attività non marginali, ma garantire alle persone un lavoro stabile e sicuro. Il re promulgò il “Codice delle Leggi” che era improntato sull’uguaglianza e sul rispetto, le uniche diversità fra le persone provenivano dai propri meriti. Fece arrivare del personale dal nord e dal centro Italia non senza difficoltà, ad esempio, lo stato Sabaudo condannava alla pena capitale chiunque avesse introdotto in un altro stato un tale ramo di lavorazione per la formazione delle maestranze. Il villaggio industriale detto “Real Colonia” fu costruito, su progetto dell’architetto Francesco Collecini, attorno al Casino baronale del Belvedere nel comune di San Leucio in provincia di Caserta, che divenne il corpo centrale di un edificio con cortile interno. (fig. 3)

Il macchinista fiorentino Paolo Scotti curò l’installazione dei macchinari mossi dalla ruota idraulica che pescava le acque del Condotto Carolino. La struttura crebbe rapidamente nella quantità e qualità dei manufatti, così si decise di costruire ulteriori edifici per migliorare la produttività: padiglioni nuovi per i telai, magazzini e alloggi per le maestranze e le loro famiglie, per gli istruttori e gli educatori, in quanto la Colonia era dotata di una scuola e di una chiesa.

Ai lavoratori della seteria, un nucleo iniziale di 17 famiglie che in breve tempo raggiunse il numero di 214 abitanti, era assegnata una casa all’interno del villaggio, dotata di acqua corrente, servizi igienici e per i propri figli era prevista l’istruzione di base ed erano ammessi al lavoro, come apprendisti, al compimento del 15esimo anno di età. La manifattura della seteria era attigua al palazzo reale e il re Ferdinando la visitava spesso, attraversando un corridoio che congiungeva i due edifici.

Già alla fine del 1779 nel suo opificio esistevano 70 telai per “calzetti” e 30 per stoffe da abbigliamento e arredamento, fra cui broccati, velluti, tulle ecc. la seta arrivava dagli allevamenti di bachi della zona: da Nola e dalla zona del Sannio.

La Colonia di San Leucio, per decenni è stata attiva per la presenza di diverse aziende seriche che, per ragioni meramente commerciali, hanno cessato l’attività in quel luogo per delocalizzare le industrie. Attualmente, il sito reale, con la Reggia di Caserta, fa parte del Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, all’interno dell’opificio originale ha sede il Museo della seta.

[continua]

Per Carreum Potentia, Franco Mazzone

Bibliografia e sitografia:

  • A. Barbero, Storia del Piemonte, Giulio Einaudi editore s,p.a., 2008.

  • C. Massaro, Usurocrazia svelata, Gingko Edizioni, 2019.

  • San Leucio (Caserta) Wikipedia

  • enciclopedia/i-industria-tessile in www.treccani.it

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