Mostra Ex-voto alla Confraternita dell’Annunziata

Si è appena conclusa la mostra “Per Grazia Ricevuta” organizzata dalla Confraternita della Misericordia che, nell’ex sagrestia del Santuario dell’Annunziata di Chieri, ha promosso l’esposizione di una sezione di importanti documenti storici, affidata ad Antonio Mignozzetti, insieme a quella di alcuni ex-voto dipinti che ha riunito per la prima volta sei quadretti tra i più antichi, conservati presso il Museo Diocesano di Torino. Se è certamente vero che non esiste santuario senza la presenza di una testimonianza di fede nell’intervento divino, più o meno semplice, più o meno diretta, è altrettanto fondamentale non trascurare l’apporto che possono dare le cappelle campestri. Per questo possiamo immaginare un itinerario, uno tra i tanti possibili, che attraversi il territorio: tra fede e spunti storici.

La partenza non può che essere un quadretto che non rivela esplicitamente la grazia concessa, come ci si aspetterebbe da un ex-voto: il dipinto (fig. 1), datato 1728 e proveniente dalla cappella Robbio in strada antica di Buttigliera, ci mostra la brutta fine di un nobile, accuratamente raffigurato dagli scarpini alla parrucca. Fine che, seppur non identica, avrebbero avuto anche altri nobili nel 1793, i quali avrebbero avuto una quantità di motivi per implorare la protezione dell’Annunziata…

Il 21 nevoso (gennaio) 1793 era stato ghigliottinato a Parigi Luigi XVI, ma durante i quattro anni intercorsi dall’esplosione di quella che si definisce generalmente Rivoluzione francese il Regno sabaudo non aveva certo trascorso momenti sereni: tra una guerra sospesa in cui solo le Alpi impedivano l’invasione e le prime rivolte interne di contadini impoveriti e di borghesi che ricoprivano funzioni di rilievo (avvocati, notai, medici) e non sopportavano più, appunto, i privilegi della nobiltà.

Tre anni dopo, nel 1796, ritroviamo un altro proprietario terriero in una situazione ben diversa (fig. 2). Questo ex-voto, che con la collega Anna Troppino ho censito nell’ambito di una ricerca scolastica per il Progetto Asclepio, si trovava nella cappella di San Giovanni Battista nella borgata Falcettini. Il nobile possidente ha un nome, Bernardo Rubatto del Talpone, ma soprattutto un motivo preciso per chiedere l’intercessione divina: in quell’anno nelle aree chieresi infuriava l’epidemia di peste bovina, non adeguatamente contrastata con l’isolamento selettivo.

Nella stessa cappella un quadretto ci aveva riportato alla vocazione agricola dell’area, ma contemporaneamente ai molti pericoli che comportava (fig. 3). In questo caso, oltre all’accurata riproduzione della tipologia del carro e della modalità dell’incidente, possiamo cogliere appieno l’ansia febbrile del padre che cerca di liberare il ragazzo dal carico che lo sta soffocando. Infatti, molti quadretti votivi evidenziano i rischi in cui potevano incorrere i contadini: un altro esempio si trova nella cappella della Madonna della Neve, in strada del Vibernone (fig. 4). Del resto, l’ex-voto del 1728 (fig. 1) ci dice che non è cambiato molto nel tempo, nemmeno il modo di aggiogare i buoi al carro.

Col passare dei secoli l’agricoltura ha incontrato le macchine e con esse una nuova gamma di potenziali pericoli; la trebbiatura nascondeva insidie tra le cinghie in movimento, gli ingranaggi da alimentare, il calore, la polvere del grano. Ma un ex-voto della cappella di San Martino delle Avuglie, in strada Baldissero, racconta una storia chierese unica e non solo nell’ambito dei quadretti votivi (fig. 5) …
I fratelli Gambino, nella loro non lontana officina, costruivano e vendevano con successo attrezzi per l’enologia. Ma a giugno chiudevano l’officina per noleggiare alle cascine «10 tiri di trebbia» composti da mietitrebbia, personale tecnico (per le macchine a vapore occorreva un patentino) e un generatore di moto. Tuttavia, non fornivano il trasporto che rimaneva a carico degli agricoltori, i quali usavano generalmente i buoi come nel caso del nostro ex-voto.

Infatti, il quadretto votivo riporta dipinta una locomobile, una macchina a vapore non semovente come la locomotiva, nonostante il nome lo faccia pensare. Una volta trasportata sull’aia, veniva agganciata alla sua grande ruota esterna la cinghia che trasmetteva il moto alla mietitrebbia. Nella foto dei primi anni Sessanta (fig. 6) è stata impressa una di quelle locomobili nel retro dell’officina Gambino: da un piccolo quadretto votivo una storia ancora tutta da scrivere.

Per Carreum Potentia, Roberto Destefanis

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