Un’intervista a Beppe Ferrero – 5ª puntata

Attestato “Scuola di Addestramento Allievi Operai Meccanici” (31 maggio 1944)

Al campo volo

Domanda. Beppe, dov’era il campo volo?

Beppe. All’ Aeritalia. Era il campo volo dove gli aeroplani li collaudavano. Sono andato dal capo reparto Garavoglia e gli ho chiesto di mandarci me. “Adesso ci penso” dice. Due o tre giorni prima della fine dell’anno mi manda a chiamare: “Lunes va al campo volo, va da Berto Datti” (Berto Datti, che veniva da San Giorgio Canavese, era l’operatore, il capo squadra. Perché alla Fiat, per non pagare, c’erano solo due capi squadra, gli altri erano tutti solo operatori: costava meno per loro, non erano impiegati). E allora il due gennaio 1943 ho cominciato a lavorare al campo volo, a fare gli impianti elettrici sui CR 42 biplani.

Io ero ancora un bocia e dipendevo da un operaio che veniva da Brandizzo. Si chiamava Enrico Plasio. A metà febbraio mi manda a chiamare Berto Datti: “Eccoti il permesso per circolare, hai la firma” (pensa avevo 16 anni!). Tutte le mattine ci pensi tu a tutti i prelievi”. E mi ha dato il tesserino per fare i prelievi dai magazzini. Perché gli aeroplani, quando arrivavano per i collaudi, erano vuoti. Perciò dovevo andare in magazzino a prendere la batteria da mettergli sotto, le spine, tutti i materiali che servivano per mettere in funzione gli aeroplani (prima i CR42 biplani poi G55 monoplani che avevano un motore da 1.200 cavalli. Ai trimotori, invece, c’era un altro). Fra l’altro c’era da fare un sacco di scartoffie. Lì c’erano otto o nove operai elettricisti che erano là da otto o dieci anni. Sono rimasti stupiti che avessero dato quell’incarico a me che avevo solo 16 anni. Ma io gli ho detto: “Io ho l’Avviamento!”. E così li ho messi a tacere.

D. Tu, però, avevi frequentato l’Avviamento Professionale per fare il calzolaio!

B. Si, ma io il calzolaio non volevo farlo. Però la scuola era Avviamento Professionale, e questo bastava. Perciò li misi a tacere. Non solo. Comandavo più io del mio capo Plasio, perché io potevo andare e venire e lui non poteva muoversi dal capo.

In ogni caso mentre il CR42 aveva solo una radio ricevente, tutto facile, il G55, che è entrato in linea a febbraio, aveva i cannoni coi comandi elettrici: riarmo elettrico, il carrello retrattile e tutte le segnalazioni: radio ricevente, trasmittente e goniometro, poi sganci bombe, i collimatori per i contacolpi delle mitragliatrici. Gli apparecchi quando arrivavano dalle officine venivano su ed erano “morti”, come dicevamo noi. Tu dovevi mettergli le batterie e poi metterli in funzione. Il CR42 era niente. Aveva batterie da 12 volt. Ma sul G55 le batterie erano di 24 volt, erano messe sopra il motore, in mezzo alle due mitragliatrici, e di fianco c’era tutta una serie di interruttori. Era la prima volta che vedevo quegli interruttori con il bottone rosso e verde: erano tutta roba tedesca, tutto della Siemens. Ed erano tutte donne che facevano questi cavi.

D. Con che mezzo da Chieri andavi a Torino in corso Francia?

B. Col treno. Fino ad aprile del ‘42 c’era ancora qualche vagone, poi con i carri bestiame, sempre i carri bestiame. Nel ‘43 un giorno arriviamo a Porta Nuova. Dico: “Porca miseria, cosa c’è qua?”. C’erano cinque o sei vagoni, i vagoni ferroviari delle ferrovie jugoslave. Tutti di legno. Sembravano quelli, sai, dei vecchi film del far-west. Sono durati una settimana, poi sono spariti e di nuovo i carri bestiame. E siamo sempre andati avanti così. Pensa, che nel ’47 c’erano ancora i carri bestiame!

Nel marzo del ’43 una mattina sentiamo un rumore. Diciamo: sono dei CR 42. Infatti, sono atterrati due CR42 notturni, che cioè avevano dei tubi perché non si vedessero le fiamme. Quando sono scesi i due piloti si sono tolti la tuta e si mettono il cappello in testa: uno aveva la greca. “Boia faus, chi a l’è cust si!”. Era il generale Bisero, uno dei trasvolatori dell’Atlantico con Italo Balbo, pilota di quegli idrovolanti. Vai a sapere che cosa era venuto a fare!

Gli scioperi di Torino del ‘43

D. Il ’43 a Torino fu un anno molto difficile. Più difficile che altrove!

B. Sì, fu l’anno dei mitici scioperi. Una mattina di marzo 1943 (il giorno non me lo ricordo) quando andai a lavorare vidi che era tutto bloccato. Tutti fermi i “guardioni”, sai le guardie Fiat. Io allora avevo 16 anni ma, come ti ho detto, avevo un permesso speciale per prelevare i materiali. E allora ho fatto il giro di tutto lo stabilimento, tanto nessuno mi diceva niente: verniciatura, officina Gran montaggio, Officine 4 e 5 e tutto il resto. Poi sono andato da Pugno. Pugno era il capo dei comunisti, in incognito sai, perché gli elettricisti e la manutenzione erano tutti rossi, però tutti zitti eh! Gli dico: “Sono tutti in sciopero”. Dice: “Va un po’ a vedere Meccanica Seconda e PM (Preparazione Materiali)”. E allora ho fatto il mio giro ed ho detto: “Sono tutti in sciopero”. I famosi scioperi di Torino del ’43.

Perché le paghe erano proprio di miseria. Se eri marito e moglie che lavoravi, bene, altrimenti erano problemi. C’era della gente là che aveva tre o quattro figli. Di elettricisti alla Fiat ce n’era neanche il 10% che era di prima categoria e che perciò guadagnava 4.05 all’ora, cioè 800 lire al mese. Gli operai che lavoravano sui velivoli erano tutti di terza. Pensa, gli operai di prima guadagnavano 4.05 lire, quei di seconda 3.65, quei di terza 3.5, i manovali 2.95. Però quelli di terza che lavoravano sui velivoli erano tutti a cottimo. Certi mesi arrivavano a prendere fino 1000 lire, perché lì sgobbavano come dei negri. Io avevo il genero del mio padrone di casa che lavorava là: era quello che inchiodava le ali dei G12 e dei BR20. Avessi visto la fatica che faceva! Però lavorava a cottimo e guadagnava.

D. Con lo sciopero cosa accadde poi?

B. Aumentarono la paga. Il Duce fece un decreto che aumentava le paghe del 30%. Così siamo andati avanti. Poi arrivò il 25 luglio, la caduta del fascismo.

Il 25 luglio

B. Quella mattina siamo arrivati in treno a Porta Nuova. Ci siamo fermati lì davanti al piazzale di Porta Nuova e guardavano tutti su, ed anche noi. Sai, davanti dove c’è la facciata grande c’era l’asta della bandiera e davanti c’era un fascio. C’erano due con un martello che buttavano giù quel fascio. Dopo un po’ patapummate!

Mentre eravamo lì è arrivata una camionetta con due tedeschi, perché a quei tempi i tedeschi avevano mandato un po’ di batterie della contraerea, quei famosi 88. Questi tedeschi sono arrivati lì e si sono fermati a vedere tutta ‘sta babilonia. Ad un certo punto qualcuno ha cominciato a insultarli. Loro sono stati lì un po’ sorpresi e poi sono scappati. Dopo un po’, da verso Po, arriva su un tram sul quale avevano attaccato un manifesto con sopra scritto: “La vita ritorna”. Era il manifesto di un film. Se tu vai a vedere la Gazzetta del Popolo di quei giorni vedrai in un cinema di Torino davano un film con quel titolo. Qualcuno aveva staccato il manifesto da una locandina e lo avevano attaccato sul tram, evidentemente dandogli un significato completamente diverso…

Ad un certo punto comincia un po’ di movimento e dico: “Cosa succede?”. Dicono: “Andiamo a prendere d’assalto la Casa del Fascio”. Ebbene sono andati là, non mi ricordo la via, sai che tutti i palazzi antichi hanno il cartello, lì c’è scritto “Qui era la sede del Fascio, nel 26 luglio la sede fu distrutta”

D. Era Palazzo Campana in via Carlo Alberto.

B. Sì, Palazzo Campana. Il materiale cartaceo lo buttavano giù dalle finestre e lo bruciavano. Poi rubavano tutto: macchine da scrivere e tutto il resto. Distrussero tutto quel che c’era. C’era uno di Chieri, io lo conoscevo. Aveva trovato una rivoltella e l’aveva presa. Quando siamo venuti a casa a mezzogiorno ce l’ha fatta vedere. Era un comunista che dopo fece parte del CLN, non stiamo a fare dei nomi. Ma al ritorno, perché c’era un treno che arrivava a Chieri verso la mezza che poi a un quarto all’una caricava quelli che andavano alla Fiat a fare il turno del pomeriggio, c’era già uno che era stato un po’ fascista e prima di arrivare a Chieri l’avevano già pestato.

Il giorno dopo siamo andati all’Aeritalia. La fabbrica era presidiata: tutti soldati con un’autoblinda. Soldati italiani. Fanteria. Un reggimento di fanteria. Anche la Fiat era stata presidiata. Però da noi cominciarono le vendette. Tutti i fascisti fanatici che si sono presentati, circa cinquanta o cinquantacinque, gli antifascisti li han pestati senza pietà. Addirittura, a uno con un colpo gli hanno staccato il naso. Perché poi bisogna capire: oltre a vendicarsi dei fascisti, molta gente voleva fare fuori ‘sti caposquadra per prendergli il posto. Sai, cerchiamo di entrare un po’ nel clima del momento!

D. La politica era una scusa per fare anche vendette private!

B. Sì. Più di tutto hanno pestato capisquadra, capireparto, capiofficina, che avevano fatto i bulli. Cinquanta o cinquantacinque ne han pestati, che poi sono scomparsi. Parecchi altri non si sono più presentati. Poi abbiamo ripreso con calma.

Ad agosto nel ‘43 c’è stata una settimana di ferie. Ma non al campo d’aviazione, dove la squadra di emergenza doveva esserci dalle 8 alle 18. Qualunque apparecchio atterrava o decollava la squadra d’emergenza doveva essere a disposizione. Per esempio, quando ero io nella squadra e partiva un CR42, veniva giù il pilota, mi diceva per esempio: “Non s’è accesa la luce” ed io prendevo appunti per provvedere. Succedeva specialmente con il G55, che era più complicato e c’era sempre qualcosa che non andava: c’era radiotrasmittente, goniometro, tre Mauser 20-30, e poi tutte le luci del carrello. E anche per gli altri della squadra era la stessa cosa. La squadra era composta da un autista (con la camionetta della SPA, Società Piemonte Automobilistica, ma era della Fiat, camionette strette e alte), un motorista, un meccanico, un manovale e un elettricista. Allora io andai dal capo reparto (si chiamava Renzi, girava sempre in bicicletta, un tipo grosso) e gli dico: “Come elettricista vengo io”. Così mi risparmiavo le ferie per settembre, quando dovevo andare a Balangero a togliere le patate.

Il lunedì siamo andati. Ma non avevamo niente da fare. Allora dico all’autista: ”Tu senti qua, vedi di portare un BR20 di fianco all’hangar, così abbiamo la radio”. Appena il BR20 è arrivato là, siamo andati sotto con le due batterie da dodici volt. Poi ho detto a uno: “Tu che vai sempre in verniciatura, fatti dare uno di quei rotoli di nastri di carta poi portiamo dei giornali per mimetizzarci”. Perché il BR20 era bimotore, davanti aveva tutta la visuale, si vedeva fuori. Abbiamo foderato tutto la parte anteriore e inferiore che se arrivava qualcuno non ci vedesse dentro il BR20. Poi abbiamo messo la scaletta. Salivamo su, andavamo dentro, tiravamo su la scala, chiudevamo la porta ed alla mezza sentivamo radio Mosca edizione italiana, all’una il bollettino del quartier generale del governo italiano e all’una e mezza Radio Londra, sai: tun tun tun! Siamo andati avanti così tutta la settimana.

L’ 8 settembre. Balangero.

D. E arrivò l’8 settembre. Cosa ti ricordi dell’8 settembre 1943?

B. L’8 settembre fu un mercoledì. Quel giorno lì io ero a Balangero per tirare su le patate. Con mia zia a mezzogiorno abbiamo mangiato, poi all’una e mezza abbiamo preso la carretta e siamo andati a togliere le patate con una zappa, una vanga, un falcetto, una cesta. Alle 18,30 venivamo su verso casa, con la carretta piena di patate. Uscendo da Balangero c’è il rio Banna, c’era un ponte in ferro, poi marciavi lungo il Banna verso Mati e poi c’erano i campi da dove venivamo noi. Come passiamo il ponte vediamo uno che usciva dal cortile, faceva tutto così e gridava: “L’armistizio, l’armistizio!”.

Allora siamo andati a casa. Lì nel borgo c’era uno che aveva la radio: alla sera c’era tutto il borgo. Saranno state cento persone. Ha messo quella radio in mezzo alla tavola. Alle 7 (o quant’è) ha dato il comunicato, sai il famoso comunicato di Badoglio che abbiamo sentito un sacco di volte, che dice: “Oggi l’armistizio”, e tutto quello.

Il giorno dopo, giovedì, nessuno ne capiva niente. Ogni tanto andavamo giù alla stazione a vedere e a chiedere se c’erano delle novità ma nessuno ne sapeva niente.

Il venerdì a mezzogiorno vicino a casa nostra arriva un alpino: era uno dei giovani richiamati nel ‘43, che aveva 19 anni ed era alla caserma Montegrappa di Torino. Dico: “Come mai ti han mandato a casa?”. “No, no sono scappati tutti, siamo venuti tutti a casa”.

Nel pomeriggio mentre eravamo in piazza, sentiamo delle macchine che arrivano giù (sai dalla stazione a Balangero c’è un chilometro). Allora ci siamo buttati dentro un portone e vediamo arrivare un motosidecar con due bersaglieri, un’altra moto e una camionetta. Hanno attraversato il paese, e hanno infilato la strada che da Balangero va a Benne. Va a sapere da dove arrivavano e dove andavano ‘sti bersaglieri.

Sabato mattina dico: “Adesso devo andare giù perché lunedì vado a lavorare”. E prendo il treno. Avevo la mia valigia piena di patate; poi avevo carne, del burro e altre cose. Arrivo a Torino alla stazione della Ciriè-Lanzo, che allora stava al fondo di corso Giulio Cesare. Quando arriviamo lì alla scala, a un certo punto vedo tutti che scappano. “Cosa c’è?”. “I tedeschi, i tedeschi!”. Allora io, sempre curioso, sono andato su e da Porta Palazzo ho visto arrivare un motosidecar con un tedesco con la “machinpistole”, sai, la famosa mitraglietta, poi c’era un camioncino e dietro quattro di quelle specie di anfibi che avevano i tedeschi (non so se hai presente) e infine un altro sidecar: correvano a tutta velocità in corso Giulio Cesare per andare verso Milano. La prima motoretta, quando è passato sopra il ponte della Dora, ha sparato una raffica in aria poi è sparita. Allora sono andato a prendere il tram, il 14 da Porta Palazzo, per andare a Porta Nuova.

A Porta Nuova uno spettacolo che non ti dico: era piena di gente, tutti soldati che se la squagliavano, avessi visto! Avevano buttato via la divisa. Qualcuno aveva gli scarponcini militari, altri avevano i pantaloni solo fino così; tanti avevano la giacca, una giacca borghese, con le maniche corte senza camicia. A un certo punto sentivamo sparare giù di là, dove si vede che quei giorni là, come i soldati sono andati via, la gente è andate a prendere d’assalto le caserme. Infatti, durante il viaggio da Balangero a Torino, dopo Venaria, dove c’era una grande caserma, dal treno ho visto tante cassette sparpagliate: sai cos’era? Cassette di gallette, sai quelle gallette dell’esercito. Quando i soldati sono scappati hanno lasciato un grande magazzino. Vedevi gente che usciva con una cassetta a spalle. C’era chi aveva una carretta e ne aveva due o tre. C’era anche qualcuno in bicicletta. Robe da pazzi, portavano via tutto!

Sono arrivato a Chieri a mezzogiorno. Lunedì sono andato a lavorare.

Dopo l’8 settembre all’Aeritalia

Mercoledì ci fu l’armistizio. Il giovedì è arrivato un gruppo di tedeschi che però se ne sono andati subito. Il venerdì sono arrivati di nuovo, ed erano tutti sottufficiali della Luftvaffe. Perciò i tedeschi non vengano a dirmi che non sapevano niente di quello che stava per succedere. Pensa che all’Aeritalia la fabbrica era presidiata. Fino all’8 settembre alla fabbrica c’era un presidio militare italiano, come in tutte le fabbriche che producevano materiali militari. C’era un capitano pilota, un maresciallo pilota e tre o quattro marescialli, un elettricista, un motorista. L’8 settembre, mercoledì, i militari sono spariti. Il venerdì mattina sono arrivati i tedeschi: un maresciallone, uno Staffelfelwebel che parlava perfettamente italiano e altri tre o quattro marescialli. Come facevano in due giorni a far arrivare questa gente? È segno che qualcosa sapevano già.

Comunque, il venerdì sono arrivati i tedeschi e hanno mobilitato tutti i verniciatori. Il lunedì quando io sono arrivato al lavoro tutti gli apparecchi avevano già sui fianchi e sulle ali la croce uncinata e lo stemma, sai lo stemma tedesco nero e bianco. Pensa, il lunedì gli aerei erano diventati tutti tedeschi. Non solo. Man mano che dalla fabbrica uscivano i CR 42 e i G12 se li prendevano i tedeschi. I G55 li avevano lasciati alla Repubblica Sociale. Organizzatissimi! Anche fra loro, però, c’erano i furbi.

D. Cosa vuoi dire?

B. Il giorno dopo, verso mezzogiorno, dalla strada che arrivava da Collegno lungo il muro, è arrivato un gippone tedesco con tre o quattro soldati. Sono entrati nel campo. In quell’angolo là c’erano tutti barili da 200 litri di benzina. Si sono caricati un barile o due e sono spariti: ma nessuno ha osato dirgli niente. Il giorno dopo sono di nuovo venuti. Il terzo giorno a mezzogiorno arriva un camion gippone con altri tedeschi. Ci hanno detto: “Voi altri fate finta che noi non ci siamo” e si sono nascosti con il camion di fianco all’hangar. Sono arrivati i soliti con il gippone e hanno cominciato a caricare quei barili. Quelli del camion sono arrivati là, li han disarmati, li han fatti scaricare i barili e poi son partiti: non li abbiamo mai più visti. In seguito, ho saputo che fine avevano fatto da un maresciallo che parlava italiano. Perché quando facevano i CR42 praticamente li finivo io per la parte elettrica, perché avevano messo un sistema di sgancio bombe alla tedesca. Quando l’apparecchio usciva doveva avere tutto che funzionava, radio, sganci bombe e tutto. Per questo tutte le sere alle 4 o alle 5 arrivava il maresciallo. Io ci ero diventato amico. Una sera viene lì e dico: “Ma senta un po’ Staffel, quelli che venivano a caricare la benzina con il gippone che fine hanno fatto?”. “Fronte russo!”. Quelli, cioè, la benzina la rubavano. Soldati tedeschi. Va a sapere. Ma sai, gli eserciti sono tutti uguali. Però avessi visto: sono arrivati quei là, si sono nascosti, li han lasciati arrivare, han cominciato a caricare un barile e tracate! si sono scagliati. Li hanno mandati in quei famosi battaglioni di disciplina, dove venivano tutti annientati. Non li processavano nemmeno: quando sgarravano li mandavano su.

D. Quindi, da quel momento avete cominciato a lavorare per i tedeschi?

B. Praticamente sì. L’8 settembre successe che i G12, trimotori da trasporto, li hanno subito presi i tedeschi: subito, tutti quelli che c’erano. Perché, sai, i tedeschi, nel tentativo di rifornire la sesta armata che era su a Stalingrado, si erano vista annientare la loro aviazione da trasporto perché, sai, rifornire 200.000 uomini là! I B12 non facevamo in tempo a finirli che se li prendevano. Poi han preso i CR42. Io facevo le consegne: quando veniva il pilota a prelevarli dovevo fargli vedere la radio ricevente, trasmittente, il goniometro, il contacolpi, tutte le luci tutte e poi, come elettricista, dovevo compilare il foglio e lui firmava, poi arrivava il montatore poi il motorista prima di consegnarlo.

I G55 invece li hanno assegnati alla Repubblica Sociale italiana. Comunque, i G55 della Repubblica Sociale erano a Venaria. Se tu vai a leggere nella Stampa e nella Gazzetta del Popolo, alla fine del ‘43 principio del ‘44 a Torino fu fatta una sottoscrizione “Ali alla Patria”: per comperare ‘sti aeroplani, pensa!

D. Per comperarli da chi?

B. Dalla Fiat. Che ne ha raccolti dei soldi!

All’Aeritalia comandavano i tedeschi. Nel mese di ottobre (1943) arrivano due marescialloni: Barbuto (un calabrese, un maresciallone dell’Aeronautica, sai proprio a dire il massimo) e Biondi (un altro maresciallone, di Livorno, che era stato il radio telegrafista di Muti, sai Ettore Muti, l’ultimo segretario del partito fascista, che fu ucciso dopo il 25 aprile). Sono rimasti lì fino ai primi mesi del ‘44 poi sono spariti, mai più visti.

Poi dopo la liberazione, quando la Raf andò via dal campo volo e arrivò l’Aviazione italiana, ricomparvero Barbuto e Biondi, e venimmo a sapere che all’inizio del ’44 erano spariti perché erano entrati in clandestinità e avevano fatto spionaggio nella formazione Franchi per gli Alleati, per il governo del Sud e per i Partigiani.

Beh, appena arrivato Barbuto fa: “Mandatemi Ferrero come elettricista”. E allora mi dicono: “Vai su che Barbuto ti vuole”. “Ciau Barbuto”. “Ciau biondo” perché nella fabbrica ci davamo tutti del tu. “Ciau biondo, senti dobbiamo darci da fare”.

Il bello è che un giorno mi chiama: “Ferrero vieni a vedere” e mi tira fuori una carta d’identità e dice: “Guarda, quando sono entrato in clandestinità mi son fatto fare la carta d’identità. Ho pensato a te e ci ho fatto scrivere Ferrero”. Ho detto: “Ma Barbuto hai proprio perso il cervello?” Dice: “Perche?”. “Ma scusami tanto Barbuto, se incontravi un terrone come te ci poteva credere, ma se avessi trovato uno delle Brigate Nere piemontese e ti sentiva parlare avrebbe subito pensato: ma come fa a essere un Ferrero questo qua?”. Dice: “E’ vero, non ci avevo mica pensato!”.

(Continua)

Per Carreum Potentia, Antonio Mignozzetti

Foto di gruppo Aeritalia con Beppe Ferrero

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