Un’intervista a Beppe Ferrero – 7ª puntata

Riassunto delle puntate precedenti

Nato il 12 gennaio 1927 da Carlo, di Chieri, e da Perino Maria di Balangero, trascorse l’infanzia fra l’odierno viale Fasano, piazza Silvio Pellico e via dei Mulini. Dopo aver frequentato, in pieno regime fascista, le scuole elementari di piazza Silvio Pellico, la famiglia lo iscrisse alla Scuola di Avviamento Professionale di Valdocco, fra gli apprendisti calzolai. Tornato a Chieri, a 14 anni cominciò a lavorare nello scatolificio Feruglio, poi Benedicenti, di via Visca, ma nell’aprile del 1942 riuscì ad entrare nel corso allievi operai della Fiat di Torino e poi, in piena guerra, mentre Torino veniva bombardata, nel corso sperimentale dell’Aeritalia, fra gli elettricisti addetti alla preparazione degli impianti elettrici dei trimotori Fiat. Dopo l’8 settembre del 1943 si trovò praticamente a dover lavorare per i Tedeschi e per i Fascisti della Repubblica Sociale, prima all’Aeritalia poi all’aeroporto di Caselle. Terminata la guerra, cambiò lavoro ed entrò da Tabasso con la qualifica di elettricista, ma in realtà utilizzato per fare di tutto.

Beppe Ferrero ad una riunione sindacale.

Uomo di fiducia dei Tabasso

Domanda. Quindi, per i Tabasso eri una specie di factotum o, meglio, un uomo di fiducia.

Beppe. Sì. Le cose stavano proprio così. Tant’è vero che nel 1951, un giorno del mese di marzo, incontro mossiù Felice e suo fratello Gino, il terzo dei fratelli, e mi fa: «Domani mattina vestiti…» (voleva dire: vestiti di blu, perché quando andavo con loro dovevo sempre vestirmi di blu). La mattina dopo siamo andati a San Maurizio Canavese, a vedere la fabbrica della Manifattura che confina con la stazione. Il padrone era Cavegiole di Biella, io ti farei vedere la cartolina che c’è ancora scritto Amministrazione a Biella.

Quella fabbrica lì aveva del macchinario da vendere e lui mi fa: «Mentre che io e Gino andiamo a parlare a Cavegiole, tu vai un po’ a vedere. Hanno una roccatrice: guarda, e cerca di capire in condizioni è». Io vado, entro, guardo: ero vestito di blu, perciò nessuno aveva niente da ridire. Tornando a casa mi dice: «T’ si andà a vardè?». «Si, sono andato a vederla ma, mossiù Felice, a l’è più veia che nui”!» Era tutto vecchio là dentro, un macchinario che faceva spavento. Poi, mentre venivamo a casa, dice: «Ah, Cavegiole è stufo». Dico: «Perché?». «Perché questa fabbrica l’aveva comperata per un figlio, l’ha presa al tempo della guerra, così Paolo sarebbe andato avanti. Ma quello là ha voglia solo di divertirsi. Tutti gli anni ci deve giuntè 50 milioni. Allora dice basta, e ha voglia di venderla». Infatti, alla fine di aprile, mi dice: «Sent, Ferrero, hai catà san Maurisi». Aveva comperato la fabbrica di San Maurizio. Mi fa: «T’ha voja d’andè su?». Eh, figuriamoci!

Il primo giugno del ’51, con il camion della fabbrica, il falegname, il cassiere, un manovale io e l’autista abbiamo caricato tutta la mia mobilia e mia madre, siamo andati su e siamo stati là fino al 31 gennaio del ‘52. Il ’51, l’anno della grande alluvione del Polesine, io ero là. La fabbrica era una di quelle fabbriche dell’Ottocento. Aveva i vetri rotti, poi più di tutto allora non c’era ancora l’acquedotto. Quando i vecchi proprietari sono andati via hanno staccato la luce e tutto. Allora sono venuti quelli della Sip e hanno collegato. Poi c’era da seguire i muratori. Poi c’era da sistemare la pompa che pompava l’acqua su. Nel palazzo di fianco, di due piani, c’erano l’alloggio del direttore e gli uffici: ho messo in funzione le pompe in modo da avere l’acqua. Poi siamo andati a cercare il lattoniere del paese. Era un magnin che veniva da Ribordone, un Balmamion. Era lo zio di quel famoso Balmamion che ha vinto il giro d’Italia. Perché i Balmamion erano tre fratelli: lì c’era il fratello più vecchio, Achille, quello con cui ho sempre lavorato insieme io. Uno a Ciriè e uno a None. Quello di None era il padre del vincitore dal giro d’Italia. Ebbene, abbiamo messo a posto la fabbrica.

Tabasso quando sono andato a San Maurizio mi ha regalato il Guzzino. Hai presente il primo Guzzino, quello ancora con i cambi a mano. L’ho sempre tenuto. Mai voluto venderlo. L’ha poi venduto mio figlio. Eh ben, avevo il Guzzino. Nel ‘53 o ’54 ci fu una grande manifestazione aerea. Allora io con il Guzzino sono andato su, sono andato in parrocchia, perché io ero proprio amico di don Benente: abitavamo tutte e due in via dei Mulini, le case una davanti all’altra. Come arrivo là trovo Caselle, che anche lui era andato a trovare don Benente. Sai dove ce l’ha fatta vedere la manifestazione aerea? Sul campanile della Chiesa. Pensa, che quando gli apparecchi atterravano li vedevi passare lì davanti a noi, io e Caselle sul campanile. Poi feci un giro per il paese. Sai la Fiat era già lì. Ho trovato 4 o 5 miei compagni che erano dell’Aeritalia. «Ciao, ciao Cuma va?». Dalla Fiat li avevano spostati lì. E come direttore c’era l’ing. Garoli e come vicedirettore La Rizza: quei due che quando nel ‘44 la Fiat era a Chieri, erano i Direttori ed erano da Saroglia e Taverna.

D. Quanto tempo sei stato a San Maurizio Canavese?

B. Sono stato là sei o sette mesi. Dovevo venire via il 31 dicembre invece ci sono stato fino al 31 gennaio. Perché il 31 dicembre del 51 l’ha affittata al Cotonificio Osella di San Francesco al Campo. Tant’è vero che ai primi di gennaio è arrivato il nuovo direttore ed ha preso l’alloggio sopra. Ma io ero ancora lì. Sono stato fino al 31 gennaio perché Tabasso mi stava facendo preparare un alloggio in vicolo San Antonio, al fondo del cortile, che non c’è più, dove adesso ci sono tutti ‘sti medici. Avevo due camere sotto e due sopra. Sai, allora trovare delle camere era difficile a Chieri. Mi ha messo lì. Mai pagato l’affitto.

Mi ha messo il telefono interno. Io non potevo con il mio telefono chiamare fuori e loro, il signor Felice e il signor Gino, da casa potevano chiamare me. Facevano il numero della fabbrica poi facevano il mio interno e mi chiamavano, magari alle 9 di sera. Il portinaio, qualunque cosa che succedeva, non poteva chiamare loro, doveva sempre chiamare me. Per esempio, certe mattine mancava il fuochista. Il portinaio mi telefonava alle 5 e mezza: «Vieni subito!». E allora via ad accendere la caldaia per andare avanti!

Facevo tutto. Pensa che un giorno uno dei nostri autisti, erano in due, sono andati fino a Capriolo sulla strada che va su per il Lago d’Iseo. Dopo Palazzolo sull’Oglio, lungo la strada, lì a sinistra c’era la Niger & Kupfer, fabbrica costruita dai tedeschi, una grande filatura. I nostri due autisti andavano a caricare il filato. Un giorno uno di quelli, Lunardi, è caduto dal camion e si è rotto una gamba. Che fare? Per venire giù sul camion bisognava essere in due. Alla mezza telefona Felice: “Dobbiamo partire a gran velocità. Ti devo portare subito a Capriolo per venire giù ed intanto porto su Rita (la moglie di Lunardi, che lo doveva assistere in ospedale). Siamo partiti a tutta velocità. Allora mossiù Felice aveva una Lancia di quelle grandi. Quando fummo quasi a Palazzolo, poco più di un chilometro prima, siamo rimasti senza benzina. Sono dovuto scendere e andare fino al distributore. Il benzinaio mi ha poi portato fino al camion. Poi la sera ho riportato a casa la moglie di Lunardi. Due o tre giorni dopo l’ho riportata di nuovo su, perché Lunardi era tutto ingessato e non c’era ancora l’autoambulanza: l’ho poi caricato con un materasso sul nostro furgone e l’ho portato a casa.

D. Dicevi che la fabbrica di San Maurizio i Tabasso l’hanno data in affitto?

B. Prima l’hanno affittata, poi l’hanno venduta. Quando hanno costruito la fabbrica di Busca hanno venduto quella di San Maurizio.

D. La fabbrica di Busca quando l’hanno costruita? Non sarà mica che sei stato coinvolto anche in quell’operazione?

B. Prima hanno ingrandito qui a Chieri. Nel ‘60, martedì dopo Pasqua, abbiamo lasciato gli uffici vecchi che erano in via Vittorio Emanuele 13 e ci siamo spostati in quelli nuovi. Poi, l’impresa costruttrice da qui è andata direttamente a Busca.

Come è arrivata là, otto giorni dopo, io e l’autista, quello del camion piccolo, siamo andati a Cuneo a caricare la cabina elettrica mobile presso la PCE. Sì, perché in mezzo alla campagna non c’era la luce. Siamo andati alla PCE perché a Cuneo non c’era la SIP, c’era la PCE, la Piemonte Centrale Elettricità, come a Chieri, del resto.

D. Tu dici che andaste alla PCE perché a Cuneo non c’era la SIP. Ma che c’entrava la SIP con l’elettricità?

B. C’entrava, perché la SIP, prima di interessarsi dei telefoni, si interessava dell’elettricità: era la Società Idroelettrica Piemontese. Quando le società private dovettero rinunciare a favore dell’Enel, la Sip, con l’indennità avuta, entrò nel campo dei telefoni. In seguito, è diventata Telecom.

D. Quindi ti sei di nuovo trasferito?

B. No, no, non mi sono trasferito. Nel ‘60, ‘61 e ‘62 andavo ogni otto o dieci giorni. Andavo e tornavo. Ci fu soprattutto da risolvere il problema dei vetri e dell’aria condizionata. Dovettero fare l’impianto di aria condizionata perché per fare il Terital bisognava avere l’umidità giusta, visto che il terital passando sulla parte calda si elettrizza. L’impresa era tedesca. Era la Klars di Aachen, /Aquisgrana: una ditta specializzata a fare questi impianti, perché ad Aquisgrana c’era la prima camera a vento fatta in Europa. Tant’è vero che gli aerei Messersmit, Gabrielli ed i progetti del Fochevuls venivano tutti da quella scuola là.

Questi hanno subito detto a mossiù Felice: «Guardi, sopra non può mettere i vetri semplici, deve mettere i vetri doppi». Allora, nel ‘60-’61, che mettesse i vetri doppi non c’era nessuno. C’era solo la Lucernale di Milano. L’hanno fatta venire giù, hanno misurato tutto quel che c’era da misurare ed han fatto il preventivo. Quando Felice Tabasso ha visto quel preventivo ha detto: «Ma qui veniamo matti!». Allora chiama me e suo fratello Gino, e dice: «Sentite un po’ voialtri due, fate dei conti». Allora io e suo fratello siamo andati da Albano & Macario, i più grandi grossisti di vetro, che erano verso piazza Massaua, perché sapevamo che ci andavano tanti metri quadri di vetri. Il prezzo risultò un quarto di quello della Lucernale. Perciò Tabasso fa: «Datevi da fare!». Allora abbiamo preso un muratore e un manovale, abbiamo tolto due vetri ed abbiamo montato quelli doppi per fare un esperimento. Visto che la faccenda andava, abbiamo ordinato tutti i vetri e i ferri ad U necessari, ingaggiato due o tre manovali e abbiamo fatto tutto.

D. Praticamene l’avete fatto voi l’impianto! Ma hai parlato di terital. Vuol dire che ormai a Chieri non si tesseva più solo il cotone.

B. Momento, momento! Si usava il cotone per il vestiario, il rayon per le coperte e il terital (cotone 50% e rayon 50%.) per le camicie. Il rayon lo faceva la Montecatini. E questo già prima del 1930. Mia madre faceva la tessitrice da Fantini, alla stazione, che usava tutto rayon. Comunque, Tabasso quando sono andato io aveva solo 9 o dieci telai che facevano coperte, poi nel 52 – 53 li ha fatti fuori: niente più coperte, solo più vestiario.

D. Quali erano le fabbriche più importanti allora?

B. C’ erano i Tinelli (erano due fratelli, poi hanno diviso). C’erano i Figli di Leandro Piovano: stavano davanti al Duomo, quelli che hanno poi fatto la fabbrica che è bruciata tutta. Poi c’erano i Vergnano, dove c’è la GS: i quattro fratelli, che facevano coperte, copriletti, arredamento e che poi sono quelli della Tever, che sono laggiù in strada Andezeno. Gallina faceva tutto, anche stoffa d’arredamento e vestiario.

Subito dopo la guerra sono arrivati i Vasino, che non erano di Chieri: venivano dalle montagne. I primi telai Vasino Giuseppe, quello che aveva fondato la Fil, li mise davanti al Duomo dove prima c’era i Piovano, poi ha costruito la Fil lassù. Saroglia ha cominciato nel 38 – 39 in via dei Mulini, e faceva coperte; dopo la guerra ha poi costruito la fabbrica là. Poi c’erano Brunetti e Pertile. Infine, c’era un gran numero di fabbrichette che lavoravano in conto terzi. Ogni tanto qualcuna di esse si sviluppava, come Pertile. Ma succedeva di rado, perché se tu mettevi due telai, ma anche tre o quattro, da pezze o da coperte, se volevi salvarti dovevi lavorare 16 ore al giorno, dalle 6 della mattina alle 10 di sera, perché altrimenti non ti salvavi le spese. Poi era finito quel grande boom.

(Continua)

Per Carreum Potentia, Antonio Mignozzetti.

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