Un’intervista a Beppe Ferrero – 8ª puntata

Il matrimonio

Domanda. In mezzo al tuo gran lavorare, caro Beppe, quand’è che hai finalmente trovato il tempo di mettere su famiglia e di sposarti?

Beppe. Mi sono sposato il 20 settembre 1953. Mia moglie si chiamava Beltramo Rosanna. Ci siamo sposati a Riva, perché lei era di Riva. Era la sesta di tre fratelli e tre sorelle. Aveva poca salute: pensa che in 50 anni di matrimonio ha fatto tre anni di ospedale. È mancata l’8 luglio 2004. Nel ’54 abbiamo avuto il figlio Carlo. Mi ha dato due nipoti: Angela, che è nata nell’82, e Andrea, dell’89, che ha preso la laurea breve in ingegneria aeronautica spaziale.

La casa (le case)

D. Hai abitato in diverse zone di Chieri!

B. Sì, come ho detto ho abitato in affitto in piazza Silvio Pellico e poi in viale Fasano (che allora si chiamava viale Val Cismon). Ma nel ‘56 avevo la fissa: un uomo libero deve avere una casa sua. Uno che è in casa di affitto è sempre un proletario, è sempre un servo della gleba. Mi son comperato la casa. Ma non volevo comperare una casa in campagna. L’ho comperata lì dove già si parlava di fare il mercato. C’era già due camere e una cantina completa. E poi c’era un pezzo di terra di fianco. Quattro milioni e mezzo. Io avevo già due milioni allora, nel ’54. Sono andato da Felice Tabasso e gli dissi: «Senta, io avrei bisogno…». Non mi ha fatto finire di parlare: «Vaire t’ serve?». «Dui milion e mes». «E per …fè che?». Io gli ho spiegato il caso. «Guarda che hai bisogno solo da dirmelo». Quando arrivò il momento: «Signor Felice, domani mattina devo andare dal Notaio Appendino. Ho bisogno dei due milioni e mezzo che mi ha promesso». Mi ha messo due milioni e mezzo in mano senza bisogno di una firma e niente. «Però domattina vengo dal notaio anch’io. Tu vai alle nove e io vado alle dieci e poi alle undici». Sempre da Appendino. Perché aveva comperato come ditta la casa in punta a via Fea e la casa di un dipendente dell’ENEL. Poi gli ho restituito tutto con calma, duecento o trecentomila lire per volta. Felice era un dittatore, però era una persona che, caro mio!!!

Sindacalista

D. Caro Beppe. Oramai siamo alla fine della nostra intervista, e devo farti delle domande, diciamo così, più personali e forse indiscrete: evidentemente puoi anche non rispondermi. La prima riguarda il tuo impegno come sindacalista. Perché, se ho ben capito da alcune tue uscite, tu sei stato sempre iscritto al sindacato.

B. Si perché all’Aeritalia ci obbligavano tutti a iscriverci al sindacato. Guai, i Comunisti, caro mio! Però sai che nel ’44 c’era stata l’unità sindacale. C’era la CGIL. A Chieri la Camera del Lavoro in partenza era in Municipio, sulla scala del secondo cortile. Lì c’era il direttivo degli anziani, tutti comunisti, c’era un socialista e Meo Tosco per la corrente cristiana. Io invece ero sotto e facevo parte del Direttivo Giovanile, sempre per la corrente cristiana. Poi, sai, il 14 luglio ci fu l’attentato a Togliatti, i Comunisti fecero quel che fecero, noi non accettavamo e ci misero fuori. Allora fondammo l’LCGL, poi nel ’50 fondammo la CISL.

D. Avesti occasione di incontrare personaggi importanti del mondo sindacale?

B. Sì, sì, a come! Il primo grande capo della CISL fu Donat Cattin. Io con Donat Cattin ho avuto una lite feroce. Lo conoscevo dal ’46. Veniva sovente per le ACLI a Chieri. Lui veniva sempre a chiedere i voti. Quando diventò deputato veniva tutti i momenti a Chieri e era sempre in casa dei pezzi grossi, va ben? Un giorno abbiamo fatto un’adunanza a Chieri e gli dico: «Parluma sinceramente. Tu vieni sempre a chiamare i voti. Sei venuto sei o sette volte a Chieri, possibile che non puoi venire una volta da noi?». «Eh, ma sai, io devo andare a parlare con i responsabili delle fabbriche o con il presidente dell’ospedale». «Ma se devi andè a parlè allora va a parlè al direttiv, a l’ospidal, non a sua ca’». Avessi sentito i rimproveri che ho avuto dai colleghi: «Ti t’ parli parei a un onorevole?». «Onorevole le bale! A vengun a si a pretender i vud da nui, mi lu conos da sempre, e ades a ven si e no si fa vedere!».

Le idee politiche

D. Mi sbaglio o politicamente tu eri con la Democrazia Cristiana?

B. Sì, nel ’48 mi sono iscritto perché era l’unico partito che ci poteva difendere dai Comunisti. Poi però nel 64-65 basta, perché non ne potevamo più a Chieri. Non si capiva più chi era per i padroni e chi per i proletari. Da allora in poi ho sempre votato socialista. Ma non mi sono mai più iscritto ad un partito.

D. Ti posso chiedere per chi voti attualmente?

B. Per la lega.


Prima collaboratore poi sostituto di Secondo Caselle

B. Dopo l’arrivo di don Carrù, nell’87 mi ha mobilitato Caselle, che faceva praticamente la guida turistica, specialmente per i pellegrini che venivano per don Bosco. Perché lui ormai aveva difficoltà a camminare. Quando arrivavano a San Luigi gruppi di preti e suore li portavo io a fare il giro, lui faceva solo più in Duomo. Da allora ho continuato. E continuo ancora adesso.


(Fine)

Per Carreum Potentia, Antonio Mignozzetti

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